L'espansione araba

Verso la metà del settimo secolo un popolo fino allora marginale emerge prepotentemente sulla scena mondiale. Grazie anche alla debolezza dell'impero romano d'oriente e del regno sasanide, estenuati da lunghe guerre di logoramento, gli arabi conquistano in breve tempo un enorme territorio e vi creano un impero di proporzioni mai raggiunte. A un secolo dalla morte di Maometto, l'impero arabo si sviluppa dalla Spagna all'India, comprendendo e unificando sotto la legge dell'Islam territori lontanissimi e culture profondamente diverse.



Cronologia dell'espansione araba
632 Morte di Maometto.
635 Conquista di Damasco.
636 Presa di Gerusalemme.
637 Occupazione della Siria e della Palestina.. Invasione della Persia. Conquista di Ctesifonte.
639-41 Invasione dell'Egitto
640-44 Occupazione dell'Iraq e della Persia.
647 Inizia la penetrazione nell'Africa mediterranea.
673 Assedio di Costantinopoli.
680 Conquista dell'Algeria.
681-82 Conquista del Marocco. Le armate arabe giungono sull'Oceano Atlantico.
698 Presa di Cartagine.
711 Conquista della Spagna. Occupazione dell'Afghanistan e di parte del Pakistan. Presa di Bukhara e di Samarcanda.
717-18 Secondo assedio di Costantinopoli.
724 Presa di Tashkent e occupazione della Transoxania.
732 Battaglia di Poitiers e arresto dell'espansione araba in Occidente.





























































































































La cultura arabo-islamica

Nonostante la rapidità dell'espansione e le inevitabili distruzioni di una guerra di conquista, il nuovo stato mostra subito grande vitalità e ben presto è in grado di rivaleggiare, per la magnificenza delle corti e per il tenore di vita dei sudditi, con imperi di antichissima tradizione. A contatto con popoli e civiltà diverse, grazie anche a una politica di tolleranza e a una curiosità intellettuale senza pari, gli arabi riescono in breve tempo ad assimilare culture distanti tra loro e a fonderle in una sintesi originale e vitale, creando un sapere al quale per molti secoli guarderanno e attingeranno le società più arretrate, e realizzando un ponte tra il mondo classico e il mondo moderno.
Quando, superati i secoli più oscuri dell'alto medioevo, l'Occidente europeo riannoderà i fili quasi completamente consunti della cultura e dell'arte, troverà nei contatti con il mondo arabo un patrimonio da cui attingere in tutti i campi dello scibile, dall'astronomia alla medicina, dalla filosofia alla matematica.





























































































































La trasmissione del sapere scientifico

I califfi più illuminati incoraggiarono e finanziarono dotti, medici e scienziati nel loro lavoro di traduzione dei testi scientifici e filosofici classici e di creazione di una cultura arabo-islamica. Con l'istituzione a Baghdad della Bayt al-Hikma (la 'Casa della Sapienza') da parte del califfo abbaside al-Ma'mu¯n, il movimento delle traduzioni assunse enormi proporzioni, portando in breve tempo all'assimilazione di gran parte della scienza greca. Vennero tradotti in arabo i più importanti testi della matematica classica, tra cui le opere di Euclide, di Archimede e di Apollonio. In alcuni casi, la traduzione araba è il solo testimone di un originale greco perduto. Venuti a contatto con la matematica indiana, gli scienziati arabi ne assimilarono rapidamente i risultati centrali, in particolare l'uso delle cifre indiane, la notazione posizionale e le tecniche di calcolo con le nuove notazioni. Dall'incontro dell'aritmetica indiana e della geometria greca con gli echi lontani della matematica egizia e babilonese, emerse una scienza per molti aspetti nuova e originale: l'algebra.





























































































































La fioritura matematica araba

Le prime opere matematiche originali sorte all'interno della cultura araba datano dal nono secolo, un periodo in cui era già in larga parte compiuto il processo di assimilazione dei popoli dell'impero arabo; di conseguenza più che di matematica araba in senso stretto si dovrà parlare di matematica islamica.
In effetti, già il primo matematico di rilievo, al-Khwa¯rizm'¯ (c. 780-850), proveniva dall'Asia centrale, così come l'astronomo al-B'¯ru¯n'¯ (973-c.1040); il matematico e poeta Omar al-Khayya¯m (1048-c. 1131) era iraniano.
Il decimo e l'undicesimo secolo videro il massimo fulgore della matematica. Forte di una tradizione classica ormai ampliamente assimilata, e avvalendosi degli apporti di studiosi provenienti da ogni parte del mondo islamico, la scienza araba conobbe durante questi secoli uno sviluppo senza precedenti, che ne fece la punta più avanzata della conoscenza, un modello inavvicinabile per le civiltà contemporanee.
Tra i matematici che fiorirono in questo periodo, spiccano Abu¯ Ka¯mil (c. 850- c. 930), Abu¯'l Wafa¯ (940-997) e al-Haytham, noto in Occidente come Alhazen (965-1039).



Il cielo versa dalle nuvole petali candidi.
Diresti che si sparge sul giardino una pioggia di fiori.
Nella coppa pari a un giglio io verso il vino rosato,
dalla nuvola color di viola scende una pioggia di gelsomini.

O. Khayya¯m, Ruba¯'iyya¯t






























































































































Termini arabi nella matematica occidentale


Insieme alle cifre indo-arabe e alla notazione posizionale, passa nella matematica europea una terminologia derivata dall'arabo. In molti casi si tratta di una traslitterazione più o meno fedele; altre volte è invece una traduzione dei corrispondenti termini arabi, a loro volta spesso essi stessi traduzione dal greco o dal sanscrito. La presenza di termini arabi è particolarmente sensibile durante il Medioevo, anche nelle traduzioni dall'arabo dei classici greci. Quando nel Cinquecento si tornerà a guardare direttamente agli originali, molti dei termini geometrici arabi verranno sostituiti dai corrispondenti greci e cadranno in disuso. Resteranno allora per lo più solo quelle voci che non hanno corrispettivi in greco.

algebra
almucabala
cosa
censo
zero
cifra
radice
numero sordo
elcataym
algoritmo
seno






























































































































Fonti del Liber Abaci: al-KhwA¯rizmi¯ e AbU¯ KA¯mil

Abu¯ Ja'far Muh'ammad ibn Mu¯sa¯ fu chiamato al-Khwa¯rizm'¯ perché la sua famiglia, e forse egli stesso, proveniva dalla città di Khwa¯rizm nell'Asia centrale. Il suo nome, latinizzato in Algorismus, ha poi dato origine al termine algoritmo, che oggi indica un procedimento di calcolo. Della sua biografia si sa ben poco: praticamente solo che visse nella prima metà del nono secolo. Fu astronomo, geografo e storico, ma la sua fama è affidata a due opere matematiche: Il calcolo indiano, di cui si conoscono solo le versioni latine del XII e XIII secolo, e l'Algebra (Al-Kita¯b al-muktas'ar fi h''¯sa¯b al-jabr wa'l-muqa¯bala).
In quest'ultima, al-Khwa¯rizm'¯ integra in un tutto organico conoscenze derivate dalla matematica indiana, tra cui l'uso dello zero e la notazione posizionale, e dagli Elementi di Euclide, in particolare il secondo libro, che egli usa per dare una dimostrazione geometrica delle regole di soluzione delle equazioni di secondo grado.
Anche di Abu¯ Ka¯mil non si hanno notizie biografiche. Si pensa che sia nato in Egitto, dato che è anche conosciuto come al h'a¯sib al-Mis'r'¯, il calcolatore dell'Egitto; visse quasi certamente tra l'850 e il 930.
Abu¯ Ka¯mil fu probabilmente il primo tra i matematici arabi a studiare le soluzioni intere di problemi indeterminati, alla maniera del matematico greco Diofanto. Nella sua algebra, usò potenze dell'incognita superiori al quadrato, e studiò equazioni con coefficienti irrazionali. Molti degli esempi di al-Khwa¯rizm'¯ e di Abu¯ Ka¯mil si ritrovano nelle opere di Fibonacci.





























































































































Pisa e il Mediterraneo nel XIII secolo

Pisa è metropoli dei Rum, di ben vasta fama e con un territorio di notevole estensione. Prospera nei suoi mercati e nei suoi edifici, essa spazia su una superficie molto ampia; abbonda di orti e giardini, e i suoi terreni da semina si estendono a perdita d'occhio. Preminente la sua posizione, sbalorditive le sue gesta. Pisa è dotata di eccelsi fortilizi, di fertili terre, di acque abbondanti e di meravigliosi monumenti. I Pisani, che posseggono navi e cavalli, sono bene addestrati nelle imprese marittime contro tutti gli altri paesi.
Questa descrizione del geografo arabo al-Idrisi compendia il fiorente periodo di preminenza economica che Pisa sta attraversando nel XII secolo, non disgiunta da una ragguardevole potenza militare. Approfittando delle lotte intestine che turbavano i califfati di Spagna e d'Africa, Pisa e Genova avevano acquisito il controllo del Mediterraneo occidentale ed erano sul punto di cominciare una lotta per la supremazia che si concluderà nel 1284 con la battaglia della Meloria.





























































































































L'avvento degli Almohadi e lo sviluppo dei commerci

In una prima fase i rapporti tra Pisa e il Maghreb arabo furono caratterizzati da una conflittualità permanente, con vere e proprie azioni belliche di varia durata inframmezzate da periodi di calma relativa in cui prevalevano azioni rapide e improvvise, con distruzioni e saccheggi. A partire dal 1150 i reciproci interessi commerciali determinarono un miglioramento delle relazioni e condussero a una pace sostanziale, favorita anche dal consolidarsi nei territori maghrebini di un potere centralizzato.
L'Occidente musulmano, dopo un periodo di grande instabilità, caratterizzato da divisioni politiche e religiose, aveva conosciuto l'espansione degli Almoravidi, rimpiazzati poi dagli Almohadi. Questi ultimi dettero unità politica al Maghreb e riportarono anche alcuni successi nella penisola iberica, imponendo battute d'arresto al processo della Reconquista.
Con i nuovi sovrani Pisa inaugurò fin dal 1133 una politica di cooperazione, intraprendendo trattative che portarono a una serie di trattati di pace, rinnovati periodicamente e contenenti varie clausole per lo sviluppo e la protezione del commercio.
Dal Trattato di pace del 1186 tra Pisa e Tunisi
1. Viene concesso ai mercanti pisani di esercitare il commercio nel regno almohade, limitatamente ai territori di Ceuta, Orano, Bugia e Tunisi, e con l'assoluta proibizione di sbarcare e soggiornare negli altri paesi dell'impero se non per cause di forza maggiore. In ogni caso, al di fuori dei detti porti è vietato vendere, comprare e parlare con gli abitanti. Viene eccettuata da questo divieto la città di Almeria in Spagna, dove però i mercanti pisani sono autorizzati solo a rifornirsi di viveri ed eventualmente a far eseguire riparazioni sulle loro navi. Una violazione di queste norme può essere punita con la morte o con la schiavitù ad arbitrio del sovrano.
2. I pisani si impegnano a punire severamente ogni azione compiuta ai danni dei sudditi musulmani del califfo.
3. Agli stessi pisani è fatto divieto di trasportare sulle loro navi sudditi del califfo, sotto pene severissime.
4. Il dazio sulle merci vendute viene fissato a un decimo del loro prezzo, 'secondo le consuetudini'.
5. Vengono riaffermate la libertà di commercio, la garanzia della sicurezza delle persone e delle cose, e la libertà di navigazione.





























































































































Leonardo Fibonacci, Pisano


La maggior parte delle notizie su Leonardo Fibonacci provengono dalle sue stesse opere, in particolare dal Liber Abaci. La sua data di nascita non è conosciuta, ed è stata oggetto di varie congetture; oggi si tende a situarla poco dopo il 1170. Da fanciullo il padre Guglielmo lo condusse con sé a Bugia, una città nei pressi dell'attuale Algeri, dove era funzionario del comune di Pisa. Qui Leonardo apprese le prime nozioni di matematica, che poi perfezionò nel corso di numerosi viaggi in tutto il Mediterraneo, che gli valsero il soprannome di Bigollo.
Tornato in patria, scrisse nel 1202 il Liber Abaci, opera che gli procurò una vasta fama. Non si sa se successivamente Fibonacci sia rimasto a Pisa, o se abbia ripreso i suoi viaggi per il mondo, mancando completamente sue notizie fino al 1220, quando pubblicò un'altra opera, la Practica Geometriae. Nel 1226 incontrò a Pisa l'imperatore Federico II, con la cui corte rimase in seguito in ottimi rapporti: la revisione del Liber Abaci del 1228 è dedicata al filosofo imperiale Michele Scoto. Sono anche di quegli anni tre operette, minori solo per lunghezza ma non per importanza: il Liber Quadratorum, il Flos e la Epistola ad Magistrum Theodorum. Di due altre opere, un Commento al decimo libro degli Elementi di Euclide e un Libro di minor guisa, probabilmente un compendio del Liber Abaci, si conoscono solo i nomi, senza che si sappia nemmeno quando furono composte.
Un documento del 1241, con il quale il Comune di Pisa gli conferisce una pensione, prova che era ancora in vita a quella data. Da quel momento di Leonardo Pisano non si hanno più notizie.





























































































































Il Liber Abaci

Il Liber Abaci vide la luce nel 1202. In esso Fibonacci inserì il sapere appreso durante le sue peregrinazioni nei paesi arabi e per il Mediterraneo, unendovi come lui stesso dice riflessioni ed elaborazioni proprie. Il risultato è un'opera che supera per mole e compete per dottrina con i suoi modelli, e che resterà per molto tempo insuperata nel panorama della matematica occidentale.
Non c'è settore della matematica commerciale che non trovi il suo spazio nel Liber Abaci: dalle compagnie ai prestiti, dai cambi alla fusione delle monete, dalle vendite ai baratti, tutto esposto con sistematicità e con una serie di esempi tratti dalle operazioni commerciali correnti. Per la cultura matematica europea, che ancora aveva a suoi modelli autori della tarda latinità come Boezio e Cassiodoro, il Liber Abaci rappresentò un'opera dirompente; per il commercio, che stava superando i limiti della gestione familiare per assumere dimensioni europee, fu la base per una contabilità precisa e affidabile.





























































































































Una pensione per Leonardo Pisano

Considerando l'onore e il profitto della nostra città e dei cittadini, che derivano loro dalla dottrina e dai diligenti servigi del discreto e sapiente maestro Leonardo Bigollo nelle stime e ragioni d'abaco necessarie alla città e ai suoi funzionari, e in altre cose quando occorre, deliberiamo col presente atto che allo stesso Leonardo, per la sua dedizione e scienza e in ricompensa del lavoro che sostiene per studiare e determinare le stime e le ragioni sopraddette, vengano assegnate dal comune e dal tesoro pubblico venti lire a titolo di mercede o salario annuo, oltre ai consueti benefici, e che inoltre lo stesso [Leonardo] serva come al solito il comune pisano e i suoi funzionari nelle pratiche d'abaco.





























































































































La notazione posizionale

Uno dei contributi più importanti del Liber Abaci è costituito dalla diffusione delle cifre indo-arabe e della notazione posizionale. Le antiche civiltà mediterranee avevano elaborato una serie di metodi per la scrittura dei numeri. Gli Egizi e i Romani avevano dei segni diversi per le unità, le decine, le centinaia, eccetera; ad esempio i Romani indicavano le unità con I, le decine con X, le centinaia con C, e quindi per indicare duecentotre scrivevano CCIII. I Greci e gli Ebrei usavano invece le lettere dell'alfabeto: per i Greci uno si scriveva α (alpha), due β (beta), tre γ (gamma), per indicare dieci scrivevano κ (kappa), trenta era λ (lambda), cento era ρ (rho), duecento σ (sigma), e quindi duecentotre era scritto σγ (sigma gamma). I più vicini a un sistema posizionale erano i babilonesi, che usavano un sistema sessagesimale misto: i numeri da uno a 59 si scrivevano in una forma simile agli Egizi e ai Romani, mentre per i numeri maggiori utilizzavano un sistema posizionale: per indicare 203 scrivevano un 3 seguito da 23: tre sessantine e ventitre unità. Tranne l'ultimo, tutti questi sistemi incontravano molte difficoltà a esprimere numeri grandi.
Nella scrittura moderna, inventata dagli indiani e giunta in Occidente attraverso gli arabi, ogni numero vale a seconda della sua posizione; quello più a destra è il posto delle unità, poi procedendo verso sinistra vengono le decine, le centinaia, e così via. Nasce qui la necessità di un segno, lo zero per indicare che il posto corrispondente è vuoto: nel numero 203 ci sono due centinaia, nessuna decina e tre unità.





























































































































Problemi dal Liber Abaci: regola del tre

Se un Cantare si vende per 40 lire, quanto valgono 5 Rotuli?
Per trovare il numero incognito, si scrive a destra il primo numero, cioè la quantità della merce, accanto a questo a sinistra il suo prezzo. Se ora è nota la seconda quantità di merce, si scrive sotto la merce, se è nota la somma da spendere, si scrive sotto il prezzo, in modo tale che si scrive sempre un genere sotto lo stesso genere: merce sotto merce o denari sotto denari. Una volta fatto ciò, si moltiplicheranno i numeri opposti, e il prodotto diviso per il numero che rimane darà il quarto numero cercato.
Nel nostro caso, si scriverà a destra 1 Cantare, cioè 100 Rotuli, e alla sua sinistra il prezzo, che è 40 lire. Poi sotto i 100 Rotuli si scriveranno 5 Rotuli, che sono dello stesso genere. Ora si moltiplicano i numeri opposti, cioè 5 per 40, che fa 200, che diviso per 100 dà 2 lire come prezzo per 5 Rotuli





























































































































Problemi dal Liber Abaci: la falsa posizione

C'è un albero, di cui 1/3 e 1/4 stanno sotto terra. Il rimanente, che sta sopra la terra è 21 palmi. Si chiede quale sia la lunghezza dell'albero.
Poniamo che l'albero sia 12 palmi, da cui, tolti 1/3 e 1/4 , cioè 7, restano sopra la terra 5 palmi. Dunque dirai: per 12 che ho posto, viene 5; cosa devo porre perché venga 21' Moltiplica allora gli estremi, cioè 12 per 21, e dividi per il medio 5; verrà 50 e 2/5 .


Il metodo si chiama della falsa posizione perché da un'ipotesi iniziale, in genere falsa, si ottiene la soluzione applicando la regola del tre. Nel Liber Abaci il metodo della falsa posizione e le sue generalizzazioni vengono usati con una maestria al limite del virtuosismo.





























































































































Problemi dal Liber Abaci: se 3 fosse 4


Se 3 fosse 4, quanto sarebbe 5?
Se questa domanda (o una simile) non fosse tratta dal Liber Abaci, potrebbe sembrare il vaneggiamento di un pazzo. Lo stesso Leonardo ci indica la risposta:
Se si chiede di 5, a quale numero ha la stessa proporzione, che 3 a 4, fai così: Moltiplica 4 per 5, viene 20, che diviso per 3 fa 6 e 2/3 , e questo è il numero cercato. Allora:
se 3 fosse 4, 5 sarebbe 6 e 2/3 .
Si può anche vedere lo stesso problema da un altro punto di vista. Dice ancora Fibonacci:
Se 3 fosse 4, quanto sarebbe 5' Questo problema è come se si dicesse: 3 rotuli costano 4 bisanti; quanto costano 5 rotuli' Dunque questa domanda si deve trattare al modo degli acquisti, operando secondo la regola che abbiamo insegnato in simili questioni.
Così dietro un problema apparentemente stravagante si nasconde una formulazione astratta della regola del tre, e un metodo generale di calcolo.





























































































































Conigli e numeri di Fibonacci


Quante coppie di conigli discendano in un anno da una coppia.
Un tale mise una coppia di conigli in un luogo completamente circondato da pareti, per scoprire quante coppie di conigli discendano da questa in un anno. Per natura ogni coppia di conigli genera in un mese un'altra coppia, e cominciano a procreare a partire dal secondo mese di vita.
Per risolvere il problema, supponiamo ad esempio che a Novembre ci siano un certo numero di coppie di conigli, diciamo 21, e che a Ottobre ce ne fossero 13. Delle coppie di Novembre, otto sono allora di nuovi nati, che non generano. Dunque a Dicembre ci saranno le 21 coppie di Novembre, più 13 coppie nate dai conigli che c'erano già a Ottobre.
Questo è vero sempre, e dunque per trovare il numero dei conigli 'osserva Fibonacci' non si deve far altro che sommare il primo numero col secondo, cioè 1 con 1; poi il secondo con il terzo, il terzo con il quarto, il quarto col quinto, e così di seguito, fino a sommare il decimo con l'undicesimo, cioè 89 con 144, per trovare la quantità finale di 233 coppie di conigli; e così si può continuare ordinatamente per infiniti mesi successivi.
La successione 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, 34, 55, 89, 144, 233, 377, 610, .... si chiama oggi serie di Fibonacci, e i numeri che la compongono sono detti numeri di Fibonacci. Più tardi si è trovato che la serie di Fibonacci entra naturalmente in natura e nell'arte, e oggi il nome di Leonardo Pisano è noto al grande pubblico grazie a questa, che probabilmente egli considerava una pura curiosità.





























































































































Conchiglie e altre curiosità


Un problema geometrico, che conduce ai numeri di Fibonacci, è quello della costruzione di quadrati adiacenti. Partiamo da un quadrato di lato 1, e sul lato di questo costruiamo un secondo quadrato adiacente, anch'esso di lato 1. I due quadrati formeranno un rettangolo 2x1, e quindi il prossimo quadrato adiacente sarà di lato 2. Insieme ai precedenti, questo quadrato formerà un rettangolo 3x2, sul quale poggerà un quadrato di lato 3. Continuando si forma una sequenza di quadrati, i cui lati sono i numeri di Fibonacci successivi 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, ecc. Tracciando in ogni quadrato un quarto di cerchio come nella figura, si ottiene la cosiddetta 'spirale di Fibonacci', una forma che si osserva in certe conchiglie.
Le conchiglie sono solo un esempio di un fenomeno ricorrente: la presenza dei numeri di Fibonacci in natura. I numeri di Fibonacci si ritrovano nella posizione delle foglie e dei petali dei fiori, nelle ramificazioni di alcune piante, nella disposizione dei semi nei girasoli e delle squame nelle pigne. Queste ultime sono disposte in modo da formare due serie di spirali opposte, che confluiscono nel centro. Nella stessa pigna o nello stesso girasole, i numeri delle spirali che ruotano nei due sensi sono numeri di Fibonacci consecutivi.





























































































































I numeri di Fibonacci e la sezione aurea

Una proprietà inaspettata dei numeri di Fibonacci è che via via che si procede, il rapporto tra uno di essi e quello che lo precede si avvicina sempre più al numero irrazionale g = '_5+1 2 = 1,618033988749894848204586....
Questo rapporto, che si trova già negli Elementi di Euclide come soluzione del problema della 'divisione del segmento in media ed estrema ragione', venne chiamato 'Divina proportione' da Luca Pacioli, che gli dedicò un intero volume con questo titolo, e più tardi 'sezione aurea' o 'numero d'oro'. Il rapporto aureo ha particolari proprietà di simmetria, e riveste un ruolo importante nelle arti visive: Leonardo da Vinci costruisce le proporzioni del corpo umano sulla base della sezione aurea, che più di recente è stata al centro degli interessi di Mondrian e di Severini. Ancora ai numeri di Fibonacci e alla sezione aurea è legato il Modulor di Le Corbusier, mentre l'asse della torre di Palazzo Vecchio a Firenze divide la larghezza secondo la media e l'estrema ragione.





























































































































Monete e interessi


Un posto particolare nell'aritmetica commerciale è occupato dai prestiti e dagli interessi. In genere l'unità di conto è la lira, che è composta di 20 soldi, ognuno dei quali vale 12 denari. Quindi la lira vale 240 denari.
Gli interessi vengono composti solo dopo un anno (si dice 'meritare a capo d'anno'); per le frazioni di anno si calcolano gli interessi semplici. Questi vengono espressi in denari per lira al mese; un denaro per lira al mese equivale a 12 denari per lira all'anno. Dato che 12 denari sono un soldo, cioè un ventesimo di lira, questo corrisponde a un interesse del 5%. Di conseguenza, 4 denari per lira al mese fanno un interesse annuo del 20%.





























































































































Memoria di mani

Nel Medioevo la carta era un bene raro e prezioso, e dunque molte operazioni che oggi vengono eseguite scrivendo sulla carta venivano compiute in parte scrivendo in maniera precaria sulla polvere o sulla sabbia, e in parte mentalmente. Era dunque importante avere la possibilità di memorizzare dei risultati parziali, in modo da poterli richiamare e utilizzare in un momento successivo.
Il modo più diffuso per ricordare un numero era di 'tenerlo in mano' mediante un elaborato sistema di posizioni delle dita. Nella mano sinistra si tenevano le unità e le decine, cioè i numeri da 1 a 99, mentre la destra veniva usata in maniera simmetrica per registrare le centinaia e le migliaia, in modo che la posizione che nella mano sinistra indicava un numero, ad esempio 35, nella destra indicava altrettante centinaia, quindi 3500. L'arte di tenere i numeri in mano rappresentava una parte importante dell'apprendimento dell'aritmetica, e i trattati d'abaco non mancavano di riportare all'inizio due pagine con le figure delle posizioni delle dita.





























































































































Problemi dal Liber Abaci: vecchie e gatti

Alcuni tra i problemi del Liber Abaci hanno origini antichissime, e sono stati tramandati per millenni prima di giungere a Leonardo Pisano e poi fino ai nostri giorni. Tra questi uno dei più antichi, che troviamo già nel papiro Rhind, consiste nel sommare una progressione geometrica di ragione 7:
Sette case; in ognuna sette gatti; ogni gatto uccide sette topi; ogni topo aveva mangiato sette grani; ogni grano produce sette hekat. Qual'è il totale di tutti'
Questo problema è giunto fino ai giorni nostri:
Per una strada che andava a Camogli incontrai un uomo con sette mogli. Ciascuna moglie aveva sette sacchi, in ciascun sacco c'eran sette gatti, ciascun gatto con sette gattini. Tra sacchi, gatti, gattini e mogli in quanti andavano dunque a Camogli'
Nel Liber Abaci l'enunciato è
Sette vecchie vanno a Roma; ognuna ha sette muli, ogni mulo ha sette sacchi, in ogni sacco ci sono sette pani, ogni pane ha sette coltelli, ogni coltello sette guaine. Si chiede la somma di tutti. N
el papiro Rhind ci sono cinque termini, nella cantilena di Camogli quattro; nel problema di Fibonacci sei.





























































































































Problemi dal Liber Abaci: la scacchiera


Un altro problema antichissimo che è giunto inalterato fino ai nostri giorni è legato al gioco degli scacchi. Si tramanda che il suo inventore chiese come ricompensa un chicco di grano per la prima casella, due per la seconda, quattro per la terza, otto per la quarta, e così via sempre raddoppiando fino a giungere all'ultima casella della scacchiera, la sessantaquattresima.
Fibonacci non menziona la leggenda, ma calcola in 18.446.744.073.709.551.615 il numero di tutti i chicchi di grano.
Un numero così lungo non dice niente, ed è difficile farsi un'idea della sua enormità; in fondo a vederlo scritto non sembra poi tanto spaventosamente grande. Perché il lettore possa farsi un'idea, Leonardo si chiede: quante navi si potrebbero riempire se ognuna di esse porta 500 moggi pisani, che pesano 24 sestari ognuno, con un sestario composto di 140 libbre, ognuna di 12 once, le quali a loro volta valgono ciascuna 25 denari, che pesano ciascuno 24 grani di frumento' Il risultato è stupefacente: si caricherebbero 1.525.028.445 navi, cioè più di un miliardo e mezzo; 'il quale numero è apparentemente innumerabile e quasi infinito'.





























































































































Fortuna del Liber Abaci

Cadendo in un ambiente matematicamente arretrato, il Liber Abaci richiese un tempo notevole prima di dare i suoi frutti: solo nell'ultima parte del tredicesimo secolo si avranno riscontri concreti dell'influenza di Leonardo sullo sviluppo della matematica in Italia, quasi sempre in connessione con le attività delle scuole d'abaco. La maggior parte dei trattati d'abaco si ispirano direttamente all'opera del Pisano, che viene universalmente riconosciuto come il capostipite e il massimo esponente della matematica medievale.
Verso la metà del Quattrocento, l'invenzione della stampa viene a scompaginare le modalità di diffusione della cultura, provocando la progressiva sparizione dal sapere collettivo di quegli autori le cui opere per un qualsiasi motivo non passano sotto i torchi. Non sfugge a questo destino neanche Fibonacci, che già durante il Cinquecento è ormai poco più di un nome: Cardano collocava Leonardo 'pochi anni prima' di Luca Pacioli; Bernardino Baldi, allievo di Commandino e autore di una Cronica de' matematici, lo indicava vissuto nel 1400.
Bisognerà attendere l'Ottocento perché Fibonacci venga di nuovo collocato nella giusta prospettiva storica.





























































































































Commercio e matematica

Agli inizi del Trecento l'intensificarsi dei traffici portò alla costituzione di aziende con ramificazioni in diverse città, la cui coesione era fondata da una parte su scambi fittissimi di corrispondenza, e dall'altra da un collaudato sistema di contabilità che la pratica aveva sempre più perfezionato: accanto alla prima registrazione per memoria, comparve il giornale con la scrittura quotidiana in successione cronologica delle operazioni, poi il libro mastro, dove a ogni corrispondente abituale era riservato un suo conto apposito, diviso in dare e avere, e infine altri quaderni particolari relativi ai beni patrimoniali e strumentali, alle merci, ai soci.
A queste organizzazioni commerciali complesse non poteva più essere sufficiente un'aritmetica elementare; le loro necessità contabili richiedevano ben altre conoscenze, in primo luogo proprio quelle cifre arabe che per aziende di dimensioni minori erano più fonte di preoccupazione che strumenti di lavoro. Da queste imprese, ormai in molti casi di livello internazionale, vengono le motivazioni per la diffusione, se non del Liber Abaci in quanto tale, certamente delle tecniche e delle notazioni innovative che conteneva.





























































































































Le scuole d'abaco

La diffusione delle cifre arabe e dei corrispondenti metodi di calcolo avviene in gran parte attraverso istituzioni forse uniche nella storia d'Europa: le scuole d'abaco. Queste fioriscono, a partire dal tardo tredicesimo secolo, soprattutto nei centri più attivi economicamente, dove le attività mercantili si consolidano e si espandono, dando luogo a una opulenta borghesia commerciale, che non tarderà di lì a poco di rivendicare per sé il controllo politico delle repubbliche.
Nei centri minori, i maestri d'abaco sono usualmente stipendiati dai Comuni, che se ne servono anche come consulenti per misure ed estimi; nelle grandi città come Venezia e Firenze sorgono un gran numero di scuole d'abaco private, che opereranno ininterrottamente fino al Cinquecento, quando saranno soppiantate dagli istituti di istruzione religiosi.
Benché ovviamente incomplete, le prime testimonianze della presenza di maestri d'abaco nelle varie città italiane indicano una netta prevalenza di centri e di maestri d'abaco toscani.





























































































































Le scuole d'abaco a Firenze

La diffusione delle scuole d'abaco assume una dimensione particolare a Firenze, dove si assiste a un fenomeno unico di scolarità di massa. Secondo la Cronica di Giovanni Villani per l'anno 1338,
Troviamo ch'e' fanciulli e fanciulle che stanno a leggere da otto a dieci milia. I fanciulli che stanno ad imparare l'abaco e algorismo in sei scuole, da mille a milledugento. E quegli che stanno ad apprendere la grammatica e la loica in quattro grandi scuole, da cinquecentocinquanta in seicento.
Dalla metà del Trecento al primo trentennio del Cinquecento, sono attestate a Firenze venti scuole d'abaco, un numero destinato probabilmente ad aumentare con il progredire delle ricerche d'archivio.
Firenze era allora suddivisa nei Quartieri di Santa Maria Novella, Santa Croce, San Giovanni, e Santo Spirito, ognuno dei quali a sua volta diviso in quattro Gonfaloni.





























































































































Scuole d'abaco a Firenze: Quartiere di Santa Maria Novella


Gonfalone dell'Unicorno

1. Scuola di Santa Trinita
[Biagio il vecchio]
c. 1340'1450
[Paolo dell'abaco]
[Michele di Gianni]
Don Agostino di Vanni
Antonio di Giusto Mazzinghi,
Giovanni di Bartolo
Lorenzo di Biagio
Mariano di M° Michele
Taddeo di Salvestro dei Micceri

2. Scuola di Lungarno Corsini
Biagio di Giovanni
1367'1445
[Antonio Mazzinghi] Michele di Gianni
Luca di Matteo
Giovanni di Luca
Calandro di Piero Calandri

3. Scuola di Via dell'Inferno
Marco di Iacopo Grassini
1514

4. Scuola di S. Maria della Scala
Benedetto da Firenze
1458'1469
Gonfalone del Leon Rosso

5. Scuola della Corticina dell'abaco
Calandro di Piero Calandri
(verso via Pellicceria)
[Benedetto di Antonio da Firenze]

c. 1460'1506 Pier Maria Calandri
[Filippo Maria Calandri]
6. Scuola di Via Ferravecchi
Giovanni del Sodo
(via Strozzi)
1493'1500

Gonfalone della Vipera
7. Scuola di Santi Apostoli
Michele di Gianni
1375'1527
Orlando di Piero
Mariano di Michele
Benedetto di Antonio da Firenze
Banco di Piero Banchi
Niccolò di Lorenzo
Taddeo di Salvestro Micceri
Niccolò di Taddeo Micceri
Piero di Zanobi
Giuliano di Buonaguida della Valle

8. Scuola di Piazza dei Pilli
Calandro di Piero Calandri
(verso via Pellicceria)
c. 1447-c. 1460






























































































































Scuole d'abaco a Firenze: Quartiere di Santa Croce

Gonfalone del CARRO
9. Scuola di Orsanmichele
Benedetto di Antonio da Firenze
1448'1451
[Bettino di Ser Antonio da Romena]

10. Scuola di Piazza del Vino
Niccolò di Taddeo Micceri
(verso via dei Neri)
1475

Gonfalone delLE RUOTE
11. Scuola della Badia Fiorentina
Bettino di Ser Antonio da Romena
1452'1453
Lorenzo di Biagio da Campi

12. Scuola di Borgo Pinti
Francesco di Leonardo Galigai
1519'1522
Giuliano di Buonaguida della Valle

Gonfalone del LEON NERO
13. Scuola di Piazza Peruzzi
Iacopo dell'abaco
1334

14. Scuola di Via dei Rustici
Antonio [di Taddeo Micceri ]
c. 1530































































































































Scuole d'abaco a Firenze: Quartiere di San Giovanni

Gonfalone del Vaio
15. Scuola di Santa Margherita de' Ricci
Tommaso di Davizzo dei Corbizzi
1370'1376
Bernardo di Tommaso
[Cristofano di Tommaso]
Antonio Mazzinghi

16. Scuola del Canto dei Ricci
Iacopo di Antonio Grassini
(Canto di Croce Rossa)
[Marco di Iacopo Grassini]
c. 1493'1495
[Raffaello di Giovanni Canacci]

Gonfalone del Drago

17. Scuola di Piazza Padella
1452'1464
[Benedetto di Antonio da Firenze]
(via Teatina)
1452'1464




























































































































Scuole d'abaco a Firenze: Quartiere di Santo Spirito

Gonfalone del Drago
18. [Scuola di Via San Salvatore]
[Lorenzo di Biagio da Campi]
(via della Chiesa)
1458'1469

Gonfalone del Nicchio
19. Scuola di Borgo S. Iacopo
Raffaello di Giovanni Canacci
c. 1495

Gonfalone della Scala
20. Scuola di Via dei Bardi
Ser Filippo
1495'1499































































































































Una scuola d'abaco a Pisa

Tra i documenti che descrivono l'insegnamento nelle scuole d'abaco, il più dettagliato è quello relativo alla scuola di Cristofano di Gherardo di Dino, maestro d'abaco a Pisa nel 1442.
Questo è la forma e'l modo a insegniare lanbaco al modo di Pisa cioè lo principio mezo e fine come apresso diremo.
-Prima, quando lo garzone viene a schuola, si l'insegnia a fare le fighure, cioè 9, 8, 7, 6, 5, 4, 3, 2, 1.
-Poy l'insegnia lo ponere alle mano, cioè alla mano mancha l'unità et a mano ricta le decine, centonaia e migliaia.
-Poy lo rilevare in taula le fighure cioè le due lectere quello che rilevano e così le tre lectere e così le quactro oltre di mano tucte le lectere. Di poy lo ponere e'l tenere.
-Poy si fa lo libbrecto. in taula dall'uno via uno per in fine a 10 via 10 100, lo quale si fa imparare a mente e fa che lo sappia bene alla spartita.
-Poy se fae lo partire.
-Poi si fa lo multipricare de' rocti.
-Poy si fa l'agiungere de' roti.
-Poy si fa lo partire.
-Poy si fa meritare denari senpricimente, alcune ragioni; di poy meritare a capo d'anno.
-Poy si fa lo misurare delle terre, cioè recare a quadro.
-Poy si fa denari dello sconto, cioè sconti senprici e sconti a capo d'anno.
-Poy si fa le ragione delli arienti a uncie.
-Poy si fa lo aconsolare et alleghare delli arienti.
-Poy la prima oppositione.
-Et nota che in fra le sopradicte mute, s'usa la matita alli scolari sighondo lo modo, cioè sighondo le mute che fanno. Et, in fra dì, fare accogliere in pancha a le mani, et alchuna volta in taula, et alchuna volta dare loro alchune ragione straordinarie, come pare al maestro.
-Et nota che questa è reghula generale: ogni sera dare loro le ragione, a ciaschuno sigondo le mute loro, che le denno recare facte la mactina rinvegniente. Et nota che, se fusse festa, le ragione sopradicte si danno doppie.





























































































































La riscoperta di Fibonacci nell'Ottocento

Alla fine del Settecento, con il risveglio delle ricerche storico-matematiche in Italia, l'opera di Fibonacci riacquistava la sua giusta collocazione storica. Antesignani di questa rinascita fibonacciana furono il veronese Pietro Cossali e il bolognese Giambattista Guglielmini, autore il primo di una Origine, trasporto in Italia, primi progressi in essa dell'algebra (1798-99) e il secondo di un Elogio di Lionardo Pisano (1812). Alcuni decenni più tardi, Guglielmo Libri e Michel Chasles si impegnavano in una controversia che coinvolgeva tra l'altro la valutazione del ruolo di Leonardo nella storia dell'algebra e dell'analisi indeterminata.
Ma il vero restauratore del nome e dell'opera di Fibonacci fu Baldassarre Boncompagni, che dopo uno studio approfondito della vita e del tempo del Pisano, diede alla luce prima gli Opuscoli in due successive edizioni (1854 e 1856), e poi una monumentale edizione di tutte le opere di Fibonacci pervenute fino a noi: oltre agli Opuscoli (Liber Quadratorum, Flos ed Epistola) il Liber Abaci (1857) e la Practica Geometriae (1862). Ancora oggi l'edizione di Boncompagni è la sola che si abbia delle opere di Leonardo.